Numero 3 - Dicembre 2019

Marko Šelić Marčelo

Marčelo dice di se stesso di essere un prosatore al quale la musica è “capitata”, ma per illustrare la sua comparsa sulla scena culturale e artistica servirebbero ben più di semplici parole: dagli album di musica rap usciti sin dal 2003 (e continuiamo con impazienza ad attenderne di nuovi), agli articoli e ai saggi sulle riviste, ai romanzi, ai colloqui e agli incontri con le nuove generazioni, per tacere dell’impegno in campo sociale e del fatto di essere stato uno degli autori della trasmissione Perspektiva (Prospettiva), nonché il redattore responsabile del fumetto Dylan Dog, edito da ormai undici anni dal Veseli Četvrtak. Il tutto, comunque, detto in soldoni, perché chi è cresciuto seguendo il suo lavoro farebbe fatica a raccogliere in poche pagine il profilo di colui che ha elevato a proprio mentore: Marčelo è stato l'eroe del nostro percorso adolescenziale attraverso i fumetti, che ci ha fatto vedere come si vincono le battaglie nell’arena dell’esercizio filologico. Ad oggi la sua arma preferita è rimasta la parola. In questa intervista ci siamo focalizzati sulla sua creatività poetica.

Sapresti dirci come è nato Marčelo e quanto è cambiato da allora il tuo rapporto con la scrittura?

Marčelo è nato, a dire il vero, quasi per gioco. Provavo ad immergermi nella narrativa, scrivevo dei racconti, ed è insorto l’impulso di cimentarmi con qualcosa di cadenzato. L'ho inteso non solo come una modalità particolare di articolazione vocale, bensì come una forma di poesia: bisognava immaginare in anticipo, già nell’atto della stesura dei versi, quale ne sarebbe stato l’effetto sonoro, seguendo un certo ritmo. La cosa mi era apparsa accattivante. Da allora, ovviamente, molte cose, con l’esperienza, sono cambiate, in primo luogo sul piano dei riferimenti letterari, che sono poi, in ultima analisi, la fonte primaria dalla quale i versi scaturiscono. Dell’impostazione convenzionale abbiamo mantenuto la ritmicità e l'uso del grammofono come strumento da trattare alla pari degli altri adoperati dalla band, anche se l’inclinazione è quella di pervenire ad una fusione dei generi musicali che ciascuno di noi predilige, mentre i testi per lo più gravitano intorno alla mia produzione in prosa

Se, come suppongo, hai incominciato con lo scrivere canzoni, destinate ad un palco musicale, come è avvenuto il passaggio ad un’altra scena, quella del teatro?
Beh, come si è già detto, qualora si scrivano dei pezzi che implicano una performance, non si è poi molto lontani dal mondo del teatro, ove valgono, suppergiù, le medesime regole. Se, quando si dice “scrivere per la scena”, si pensa, d’impulso, al teatro, allora devo confessare che per noi è stato davvero gratificante ritrovarci catapultati in questa dimensione da sogno, ma il passaggio è avvenuto in qualche modo spontaneamente, come un approdo quasi naturale. Il primo ad essere messo in scena è stato il romanzo degli esordi, Zajedno sami (Da soli insieme), di cui Rade, il nostro compositore di punta, ha scritto la colonna sonora. Abbiamo poi contribuito alla realizzazione di Klasni neprijatelj (Il nemico di classe), di Nigel Williams. Anche in questo caso è stato Rade ad occuparsi delle composizioni musicali; il brano Pegla (Ferro da stiro), ad esempio, poi inserito nell’album, era stato inizialmente concepito come una sorta di ''titolo di coda''. Abbiamo in seguito curato l’allestimento di Istraživač noćnih mora (L'investigatore degli incubi), ispirato al personaggio di Dylan Dog, mentre per Doktor Nušić (Dottor Nušić), diretto da uno dei nostri migliori registi del momento, Kokan Mladenovic, siamo stati Nena (la nostra cantante) ed io, insieme all’impareggiabile Irena Popovic, a scrivere tutte le canzoni. E' infine sopraggiunta, in Serbia, l’epoca della censura: eravamo alle prese con Velika magla (La grande nebbia), per la quale avevo scritto la sceneggiatura ed iniziato a comporre, con Rade e Nena, le melodie, ma la rappresentazione è stata cancellata, nel mentre stavamo svolgendo le prove, causa l'intervento dei potentati locali. Questa gente, del tutto avulsa da qualsiasi esigenza culturale, esercita violenza laddove e ogni qualvolta ne ha l’occasione, in genere sempre e ovunque. Un motivo in più per non desistere dalla lotta. Per quel che mi riguarda, è diventata una questione di carattere personale: hanno invaso il nostro settore, e ne saranno espulsi. Se persino il buon Gesù non si è astenuto dallo scacciare con la forza i mercanti (ossia i potenti) dal tempio, forse è il caso di meditarci su.

Che cosa distingue il testo di una canzone rap da ciò che abitualmente chiamiamo poesia?
Secondo me, niente. O almeno tale è il proposito, e in ogni caso si tratta di un intento artistico al quale è bene guardare come a un traguardo.

Quanto incide la musica sui testi che scrivi? Te ne prefiguri gli effetti melodici già in fase di stesura?
Il peso della componente musicale è gigantesco. Di frequente, scrivo sulla falsariga di una melodia già predisposta. C‘è sì, inizialmente, uno scambio di vedute intorno ad un abbozzo sia pure embrionale di testo e di cornice musicale, ma sono poi incline ad aspettare che i versi prendano corpo solo allorché disponiamo per lo meno di una traccia della composizione. Ad ogni modo, ad un “arrangiamento” musicale non rinuncio nemmeno quando mi dedico alla prosa: scrivo ascoltando della musica strumentale. Qualche anno fa è uscito il primo album da solista di Rade, e l’incanto che ha saputo produrre mi ha accompagnato anche nei romanzi, un po’ come accade quando ci mettiamo a lavorare al testo di una canzone. Per quanto rigurada la seconda domanda, beh, ci sforziamo di radunare tutti gli elementi necessari prima della registrazione, ma in corso d’opera le sorprese sono inevitabili: si fa spazio qualcosa di nuovo, qualcos’altro che era in programma diventa improvvisamente di troppo, qualcuno ci mette un pezzo che incontra subito l'approvazione di tutti, Nena improvisa un intero coro di voci in una decina di distinte varianti... impossibile sottrarsi alla suggestione del momento.:)

Sei il primo autore serbo ad essersi piazzato sulla playlist ufficiale della MTV con la canzone Pozerište. Dov’ è il confine tra impegno sociale e poesia?
I confini si trovano là dove la gente li colloca, sono un’invenzione dell’uomo. Penso che in generale debbano essere violati ed abbattuti. Se alla poesia attribuiamo il valore di un genuino condensato di emozioni, non credo proprio che l’impegno sociale possa, per contro, essere privato della dimensione passionale. D’accordo, non è il genere di trasporto che si prova quando ci si immerge nelle note di una canzone d’amore, ma pur sempre di passione si tratta, anche nel caso della canzone impegnata o del racconto impegnato: finirebbe, altrimenti, col ridursi al livello di un pamphlet, di uno slogan, di un puro e semplice proclama. La creatività non è al servizio di una presa di posizione: se ti dedichi ad un’attività artistica, devi metterci anima e corpo.

Ti pieghi mai a dei compromessi quando ti prepari ad una performance oppure mentre dai forma ad un romanzo?
Non ci sono compromessi. C’è l’impostazione che hai prestabilito, e ad essa ti attieni. Un’opera è dotata di una logica interiore, di una concezione di fondo: una volta individuatone l’impianto normartivo, sei chiamato ad assecondare le procedure che gli sono implicite. Credo che questa in cui viviamo sia un’epoca di vomitevole “propensione all’adeguamento”: nemmeno i ragazzi di diciott’anni hanno voglia di cambiare il mondo (per quanto gli ormoni starebbero ad imporglierlo, di sicuro non la testa), e badano invece a come adattarvisi. E’ un andazzo cui neppure l’arte è rimasta immune, anche se dovrebbe essere l’ultima a scendere a compromessi con il mercato. Laddove la creatività si voglia sposare con il calcolo, l’artista ci rimette e il calcolatore prende il sopravvento. Potremmo intenderla come una provocazione, ma non lo è. L’arte è il tuo modo di rapportarti con il mondo: così come accade quando stringi una relazione con qualcuno, puoi continuare ad essere te stesso, oppure ricorrere al photoshop al fine di mostrarti più gradevole di quel che sei. Parliamoci chiaro: è solo un espediente, un inganno. Non arriverò a dire che se il mio prossimo album o il mio prossimo romanzo non dovesse piacere proprio a nessuno, la cosa mi lascerebbe indifferente e non ne sarei profondamente colpito, ma è un’eventualità che non escludo e con la quale sono sempre, senza tentennamenti, disposto a confrontarmi. Nessun calcolo, nessun patteggiamento.

Per chiudere, come fai a scegliere che cosa pubblicare e che te ne fai del materiale di Marčelo rimasto inedito?
Quando hanno chiesto al grande Sclavi, il creatore di Dylan Dog, se nei cassetti aveva per caso conservato qualche racconto inedito (ed è leggenda piuttosto diffusa che ciò che è rimasto inedito sia anche di maggiore spessore), ha risposto che non c’era proprio nulla. E’ una favoletta che trovo divertente, questa dell’autore che tiene celati dei tesori, perché magari non considerati all’altezza. Si tratta di una credenza per lo più senza alcun fondamento. Nei mei cassetti ci sono soltanto le cose su cui sto ancora lavorando, che semplicemente non sono state portate a termine. Ciò che non trovo soddisfacente, lo butto via la mattina dopo, senza rimorsi. Mi tengo solo il materiale che reputo meritevole di ulteriore lavoro – e ci lavoro. Bando alle ciance, meglio non dare credito alle favole.

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