Delle streghe
A partire dalla seconda metà del XIX secolo, il tema delle streghe e le descrizioni dei loro raduni notturni sono stati oggetto dell’interesse non solo di folcloristi, ma anche di antropologi e storiografi. Secondo Ginzburg, alla base di questo interesse ci sarebbero il femminismo, la riscoperta di culture annientate dal capitalismo e, in generale, la tendenza sempre più diffusa ad interrogare quei gruppi marginali o non privilegiati, come i contadini o le donne. Ginzburg afferma che l’idea della stregoneria diabolica, con tutti i suoi rituali, si sia affermata dalla metà del tredicesimo secolo alla metà del quindicesimo grazie all’opera di inquisitori e teologi per poi diffondersi in tutta l’Europa attraverso scritti, racconti e rappresentazioni artistiche.
Si tratta di un lento e progressivo modificarsi, sotto la pressione inconsapevole degli inquisitori, di antiche credenze popolari che si sono in seguito cristallizzate nel modello preesistente del sabba diabolico. In base a quest’affermazione possiamo concludere che i racconti sulle streghe siano collegati esclusivamente ai territori che durante il periodo dell’inquisizione erano nella sfera di influenza della Chiesta cattolica. Tuttavia, notiamo che in nessun territorio europeo c’è una tale abbondanza di nomi per le streghe come in Serbia: vešterka, ordulja, morna, brina, brkača, dlakulja, konjobarka, srkača, potkovanica, metlokrilka, kamenica, krstača, rogulja. Inoltre, i territori serbi sono stati interessati anche dal fenomeno della caccia alle streghe, che è stato di natura spontanea e popolare, mentre le istituzioni e la chiesa presero le difese delle donne accusate di stregoneria. E’ chiaro dunque che il solo influsso della chiesa cattolica non sia sufficiente a spiegare l’esistenza dei racconti sulle streghe nei diversi territori europei.
Secondo Mac Dermot la figura del serpente, ovvero del drago, molto presente nella mitologia slava, corrisponde alla figura mitologica greco-romana della lamia. Questa presso i Bulgari aveva le sembianze di una lucertola e il potere di arrestare il corso dell’acqua e portare siccità, motivo per il quale era in lotta costante con Sant’Elia, ovvero Perun o la divinità del fuoco – ovvero, secondo Ivanov e Toporov, il dio dei tuoni nell’ambito della mitologia preindoeuropea. Nella mitologia greca e in quella romana, le lamie erano demoni femmine che, secondo Filostrato, si nutrivano esclusivamente di carne umana, sangue di bambini e di giovani. Assumevano varie forme, di animali, piante e rocce. Spesso i viandanti si imbattevano in loro e potevano allontanarle solo con gli insulti. Nella Vita di Apollonio Tianeo di Filostrato si narra di quando il filosofo smascherò una lamia di cui un suo amico si era innamorato. Durante il banchetto nuziale nel giorno delle nozze, la apostrofò duramente, così che tutti i suoi servi, le suppellettili d’oro e la preziosa mobilia scomparvero e lei fu costretta ad ammettere di essere una lamia. La storia di Apollonio Tianeo e la descrizione di Filostrato hanno molto in comune con la figura della strega nell’Europa medievale. L’illuminista Girolamo Tartarotti nel 1749 pubblicò un trattato dal titolo Del congresso notturno delle lammie, nel quale, oltre a sfatare il mito dei raduni notturni delle streghe, spiega che le credenze sulle streghe hanno origine da quelle greco-romane sulle lamie.
Nell’entroterra della Campania, a 70 km a nord-est di Napoli, si trova l’antica città di Benevento, conosciuta in tutta Italia come la città delle streghe. Secondo molti racconti da tutta la penisola, tutte le streghe del mondo si radunavano a Benevento sotto un famoso noce. Stando alle testimonianze delle donne accusate di stregoneria, prima di volare verso tali raduni, si pronunciavano le seguenti parole magiche: "Unguento, unguento, mandame alla noce de Benevento, supra acqua et supra vento et supra ad omne maltempo”.
L’associazione tra le streghe e il noce è molto presente anche nella tradizione orale dei popoli slavi del sud. Karadžic dice che a Srem si racconta che lì le streghe si radunano presso Molovin, sotto un noce. Pamučina riporta un racconto raccolto in Erzegovina in cui si dice che una donna, prima di volare a un raduno, si ricopre di un unguento nero pronunciando: “né sopra la via, né sotto la via, né su una roccia, né su un albero, ma sulla giusta via per Vidovo Polje, sotto il noce!”. Si credeva che le streghe, una volta radunatesi, salissero su un noce o su un gelso in forma di topi ciechi. Se qualcuno si fosse arrampicato su quell’albero, avrebbe rischiato che le streghe gli mangiassero il cuore.
Un altro elemento presente nei racconti sulle streghe di entrambi gli ambienti popolari è l’unguento di cui le donne si ricoprono prima del volo. Nelle credenze degli slavi del sud si racconta che, prima di giungere al raduno, la strega si spalmi un unguento sotto le ascelle, sotto le ginocchia o su tutto il corpo. In Erzegovina, afferma Bratić, “la strega ha un vasetto con dell’acqua con la quale si unge prima di andare a tormentare qualcuno. Il suo corpo resta a dormire, solo lo spirito va, ma chi ha la grazia divina e la incontra, può riconoscerne lo spirito e parlare con esso”.
Riguardo alle confessioni nei tribunali dell’inquisizione, nelle quali le donne affermano sempre di essere volate ai raduni “in spirito” e non “in corpo”, Ginzburg afferma che ciò può essere interpretato in due modi: o streghe e stregoni sarebbero stati persone malate di epilessia, come di isteria o di altre malattie mentali; oppure gli stati di incoscienza e le allucinazioni da essi menzionati sarebbero da attribuire agli effetti di unguenti preparati con sostanze soporifere o narcotiche. Questa ipotesi è rafforzata dal fatto che nella medicina popolare di un tempo venivano usate piante come la belladonna, la mandragora, lo stramonio e il giusquiamo, che possono causare allucinazioni. Nelle regioni slave del sud, secondo una credenza raccolta nel Gorski vijenac, l’unguento si otteneva proprio cuocendo delle erbe particolari: abbiamo un’erba apposita / e quell’erba la cuociamo in una pentola / dalla pentola ci ungiamo a turno / così diventiamo streghe. D’altronde, il motivo del volo delle streghe “in spirito” (ovvero in forma animale) è fondamentale anche nelle credenze degli slavi del sud. Nel Dizionario Serbo di Karadžić, alla voce ‘vještica', strega, questa è una “donna che secondo i racconti popolari ha in se’ un’anima diabolica, che nel sogno esce da lei e si trasforma in falena, gallina o tacchino.”
Si è visto come la figura della strega nel folclore delle regioni italiane, in particolare nel sud, sia strettamente collegata alla lotta da parte della chiesa cattolica ai culti pagani nelle zone rurali durante il medioevo. La chiesa cattolica non riusciva a cristianizzare quei culti pagani profondamente radicati e inconciliabili con la teologia cattolica, di conseguenza li demonizzava. Con l’assimilazione delle influenze della cultura dotta, o meglio ecclesiastica, da parte della cultura popolare, lo stesso processo di demonizzazione degli elementi pagani ha interessato il popolo stesso. Di conseguenza sono nate e si sono diffuse numerose credenze sulle streghe.
Confrontando le leggende del folclore italiano e di quello dei popoli slavi del sud, è stato possibile riconoscere alcuni elementi comuni che prescindono dall’influsso culturale della chiesa cattolica, come nel caso del noce, dell’utilizzo dell’unguento, dei voli ai raduni e della metamorfosi, e supporre l’esistenza di un’origine comune alla base dei racconti sulle streghe. Si tratta di un substrato mitologico-rituale comune ad entrambe le regioni che in seguito avrebbe contribuito alla creazione delle credenze medievali sulle streghe.
Maurizio Balzano