Numero 1 - Dicembre 2017

L’analisi della canzone A Silvia di Leopardi

In una delle più belle poesie d’amore di tutti i tempi si riflettono l’intero mondo filosofico di Giacomo Leopardi e, insieme, la sua delicata compassione verso una giovane prematuramente scomparsa. Come di tutte coloro che furono muse di inesauribile ispirazione di grandi poeti, da Beatrice e Laura fino a Isidora Duncan e Lenka Dundjerski e molte altre ancora, i cui nomi non sapremo mai, la figura e la sorte di questa fanciulla infelice diventarono immortali, benché fosse un’umile ragazza della famiglia della servitù, che Giacomo osservava dalla finestra del suo studio. Platonico, non corrisposto, eterno, proibito, fatale, l’amore è quell’energia motrice grazie alla quale tutti diventiamo poeti e ci ritroviamo in ogni poesia o romanzo capaci di cambiare il modo in cui vediamo il mondo; con la quale tutto diventa più bello e più sereno, quando l’indescrivibile straripamento delle emozioni lacera il nostro corpo divenuto troppo piccolo per tanto grande sentimento. Per contro, può diventare un’altrettanto grande delusione e sofferenza, se il destino non sta dalla nostra parte. Allora è difficile trovare il colpevole, si evoca la morte e si maledice tutto il mondo. In tali momenti sono nate le più famose poesie d’amore, quando i poeti dipingevano il loro enorme dolore e il vuoto nel cuore con l’inchiostro che sgorgava dalle lacrime, e scrivevano la dedica alla donna che rappresentava e avrebbe rappresentato tutto il loro mondo. Forse non sapevano che in questo modo erigevano il monumento al loro amore, del quale si sarebbero meravigliati i lettori tanti secoli dopo. 

Leopardi racconta un amore ingenuo, puro, fanciullesco, che nascondendosi timidamente dietro le finestre rimase platonico, che non consceva il piacere dei sensi. La sua poesia è priva di ogni movente erotico, dei contorni del suo corpo, e di altri temi, con i quali poeti come D’Annunzio avrebbero incoraggiato la loro immaginazione. Leopardi scriveva in un modo sincero e semplice di tutto quello che vedeva dando al suo sguardo quella particolarità sottile, che ogni cuore dà agli occhi di innamorato. Il più tenero poeta italiano non dà nessuna descrizione della bellezza fisica della ragazza, e da ciò vediamo che dell’anima di Silvia si innamorò, così come solo i poeti possono innamorarsi. Vi è un unico accenno ai suoi occhi ed ai capelli neri, tutto il resto è affidato all’immaginazione del lettore.

Silvia diventa il simbolo dell’infelice e finita gioventù, che si lega alla gioventù del poeta pessimista, subordinata alla nemica più grande degli uomini: la natura. Lei è quella che inganna, distrugge e uccide, non solo privando Silvia della parte più bella della vita, ma anche spegnendo così tutti i sogni del poeta e rubandogli una gioventù spensierata. Per Leopardi la natura è una signora indifferente e spietata che lo fa sentire impotente e disarmato. Sembra che la natura sia ancora più crudele quando separa gli innamorati; ricordiamoci di Orfeo ed Euridice, di Paolo e Francesca. Questa esperienza porta il poeta a considerare ingannevole e doloroso il mondo, dove è meglio vivere senza vane speranze. Il suo pessimismo aumenta - la delusione è maggiore - quando la speranza è grande. Dopo la demolizione dei sogni giovanili si ritira nella tristezza più cupa. Il poeta è forzato a crescere e capisce che questo mondo non è quello che sembrava, che ogni bellezza scomparirà, che tutte le gioie avranno fine e che rimarrà solo memoria e nostalgia di alcuni tempi migliori quando ancora non si conosceva tutta l’ineluttabilità del destino.
Il contrasto più grande sia nella poesia sia nella vita è fra le speranze illusorie di sognatore e la caduta brutale in una realtà, dove non sappiamo districarci perché non siamo ancora abituati a camminare sulla terra dopo una passeggiata tra le nuvole. A volte è meglio non incontrare l’amore e non farsi grandi aspettative, perché tutto può essere distrutto in un solo istante e ci dispiacerà che abbiamo provato tutte quelle sensazioni che non possiamo avere più. Francesca nell’ Inferno disse: “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria’’, come se questi bei giorni fossero in anticipo condannati a rimanere solo ricordi che ci perseguiteranno tutta la vita. Ci si pone la domanda se per queste persone che non hanno tali memorie sia più facile vivere perché non c’è niente a tormentarle oppure se anche loro siano infelici e la natura le castighi perché per timidezza non sono mai riuscite a lasciare che qualcosa di simile accadesse loro?
Un’apparente poesia d’amore si converte forse coerentemente, in un ritorno al pessimismo tipico del poeta, che vede l’amore come uno dei fenomeni più tragici che la natura abbia costruito senza dirci nulla di ciò. Un altro inganno della natura fa nascere nel poeta sentimenti più oscuri e mentre lui richiede a lei risposte a domande esistenziali primordiali, lei si difende tacendo, come sempre. All’inizio chiede alla natura perché lo abbia deluso e ucciso così, e poi le sue emozioni romantiche culminano alla fine della canzone, diventa inconsolabile e sospetta di tutte le apparenze che rappresentano la vita e tutto gli sembra irraggiungibile e inesistente. Questo pensiero è applicato alla visione che il poeta ha del mondo, il destino girerà le spalle a tutti e li deluderà prima o poi, e noi, il genere umano saremo come Silvia impreparati per la crudele verità della nostra esistenza e per una battaglia grande a cui la natura stessa ci sfiderà ,e saremo piegati come le foglie di un fiore fragile durante la tempesta abbandonati al vento che ci demolirà e ci strapperà dalle radici.

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